Luigi D’Elia vince il Premio del pubblico a Ermo Colle

Luigi D'Elia con il premio Premio del Pubblico alla XXIV edizione dell’Ermo Colle – Palio Poetico Teatrale Musicale

Con “E la felicità, prof?” l’attore conquista il pubblico. Un successo che celebra scuola, teatro e un talento tra i più amati d’Italia

di Antonio Portolano

PARMA – Il pubblico lo ha scelto. Con un applauso che non è solo consenso, ma gratitudine. Con “E la felicità, prof?” l’attore brindisino Luigi D’Elia ha conquistato il Premio del Pubblico alla XXIV edizione dell’Ermo Colle – Palio Poetico Teatrale Musicale, a Langhirano, in provincia di Parma. Una cornice autentica, lontana dalle luci abbaglianti ma vicina al cuore dell’arte, che ha premiato un lavoro teatrale profondo, necessario e radicato in una realtà che riguarda tutti: la scuola, i ragazzi, il bisogno di essere visti. Un riconoscimento importante, che mette in luce la forza di uno spettacolo nato dal cuore della scuola e portato in scena con rara intensità emotiva.

È la seconda volta che questo spettacolo, o meglio questa poetica, ottiene un riconoscimento prestigioso. Due anni fa fu la critica a premiare “Cammelli a Barbiana”, sempre interpretato da D’Elia, oggi è il pubblico a dire grazie. Un segno forte, che indica come il suo teatro arrivi dritto dove deve arrivare: nell’anima di chi guarda.

Dal libro alla scena: una dichiarazione d’amore per la scuola

E la felicità, prof?” nasce dall’omonimo libro scritto da Giancarlo Visitilli, pubblicato da Einaudi. È un testo che ha saputo cogliere le sfumature di un mondo troppo spesso raccontato con superficialità: quello dell’adolescenza. Il protagonista è un insegnante di lettere del Sud, alla guida della sua classe nell’anno della maturità. Ma la maturità, in questo caso, non è solo un esame. È un processo emotivo, una sfida di crescita, una prova collettiva che coinvolge studenti, docenti e spettatori.

L’adattamento teatrale è stato curato dallo stesso Visitilli con Riccardo Spagnulo, su produzione dei Teatri di Bari, in collaborazione con la cooperativa sociale I bambini di Truffaut. In scena, Luigi D’Elia dà voce a una pluralità di personaggi: non solo il professore, ma anche Saverio, Michele, Giulia, Andrea, Miguel e tutti quei volti che popolano le aule scolastiche reali. Li incarna uno a uno, con un’intensità che commuove e lascia senza difese.

I temi sono quelli della vita vera: amore, malattia, diversità, integrazione, violenza, anoressia, solitudine. Ma anche speranza, ricerca di felicità, desiderio di esserci davvero. Tutto questo vibra nella voce e nei gesti di Luigi D’Elia, che in scena diventa non solo un attore, ma un ponte tra generazioni.

L’opera è attraversata da domande semplici e potenti: cosa significa sentirsi visti? Come si costruisce una relazione educativa? È possibile sentirsi amati dentro un’aula scolastica?

«Però ricorda, Saverio, che essere tristi è un valore assoluto. Un lusso. Anche quello. Come sentirsi amati.»
«E come si fa, prof, a sentirsi amati?»
«Non lo so, Saverio, ma tu lo stai facendo ora. Io mi sento amato da te.»

Parole che arrivano dritte al cuore, e che sintetizzano l’anima dello spettacolo: non ci sono ricette, né pedagogie infallibili. C’è l’umanità. E c’è chi sa riconoscerla.

Un attore solo in scena, ma mai così in tanti

D’Elia non interpreta. D’Elia abita. Con un banco, una sedia, uno schermo, pochi oggetti e un oceano di sguardi interiori, l’attore costruisce un mondo intero. Sul palco è solo, ma in realtà è pieno di presenze. È il professore e i suoi studenti, è le domande che rimbalzano fra i muri della scuola, è le risate fuori tempo, le lacrime nascoste, la paura di fallire.

Il tempo scenico è quello dell’anno scolastico, da settembre a giugno. La struttura narrativa è quella di un diario emotivo che cresce con i personaggi. Non ci sono effetti speciali, ma emozioni vere. Non c’è retorica, ma vita.

Ogni battuta è un frammento di verità: «Ci avete visti».
«E ora?».
«Cosa possiamo fare?».

La risposta è nella scena stessa. È nel teatro che diventa luogo di restituzione, dove le storie trovano dignità e senso.

L’impatto sociale: il teatro che educa

Lo spettacolo è stato rappresentato in scuole, teatri, festival, creando uno spazio di ascolto reale per ragazzi e adulti. La scuola che racconta non è quella dei voti e delle circolari, ma quella dei corpi, delle attese, dei silenzi. La scuola che si fa rifugio, o ferita. Che può salvare o ferire. Che può essere tutto, o nulla.

«Voi non siete un voto», recita il professore a un certo punto dello spettacolo.
«Avete un mondo che non si può misurare dentro».

E il pubblico, giovane o adulto, si ritrova in quelle parole. Si commuove. Si riconosce. Perché la forza del teatro è questa: dire l’indicibile con semplicità. Dare forma al vissuto. Farci riflettere su ciò che eravamo, su ciò che potremmo essere.

È anche questo che rende l’opera un atto politico e pedagogico: un invito a guardare i ragazzi non come numeri, ma come esseri umani in attesa di essere riconosciuti. E nel corpo scenico di Luigi D’Elia, tutto questo prende forma, vibra, si trasmette.

Il lungo cammino di un artista in viaggio

La vittoria al Premio del Pubblico all’Ermo Colle è solo l’ultima tappa di un percorso artistico straordinario. Luigi D’Elia è un vero globetrotter del teatro italiano. Per l’estate 2025 il suo calendario è fittissimo: decine di date da nord a sud con spettacoli che spaziano tra generi, autori e linguaggi, portando ovunque la sua poetica profonda e accessibile.

Con Caravaggio. Di chiaro e di oscuro, l’attore sarà in scena in Trentino, Puglia, Liguria e Alto Adige. Con Zanna Bianca, Fare un fuoco, Tarzan ragazzo selvaggio e Cammelli a Barbiana attraverserà città come Milano, Bologna, Foligno, Arezzo, Torino, Locorotondo e Fiesole. Uno sforzo logistico e fisico enorme, vissuto però con gioia, sacrificio e una creatività instancabile.

Il suo teatro non conosce palcoscenici privilegiati: Luigi D’Elia porta la stessa cura nelle grandi città come nei piccoli centri, nei teatri stabili come nelle scuole, tra operatori culturali e studenti, tra critici e gente comune.

È un teatro che suda, che respira, che cammina. Che non si rifugia nella forma, ma cerca l’incontro. E Luigi, artista dalla voce gentile e dallo sguardo limpido, è diventato in questi anni uno dei riferimenti nazionali per chi crede ancora che l’arte possa cambiare le cose.

Un esempio da seguire

“E la felicità, prof?” non è solo il titolo di uno spettacolo. È una domanda urgente, che riecheggia anche dopo l’ultima battuta. È una provocazione, una richiesta, una speranza. E in scena, Luigi D’Elia ne fa qualcosa di vivo, che lascia il segno.

Per questo la sua vittoria non è solo un fatto teatrale: è un fatto umano. È la conferma che ci sono attori, artisti, educatori capaci di costruire ponti. Di guardare in faccia le fragilità. Di donare bellezza con umiltà e dedizione.

Luigi D’Elia è, oggi, uno dei massimi rappresentanti brindisini del teatro italiano contemporaneo. Lo è per il talento, per il rigore, per la poetica. Ma soprattutto per la sua capacità rara di fare del teatro un atto d’amore.

E forse, davvero, la felicità sta lì: nel coraggio di esserci, ogni volta, per dire a chi ascolta «ci sei», «ti vedo», «sei importante». E la felicità, prof? Forse è proprio questo: dare tutto di sé, ogni volta, per accendere negli altri un frammento di bellezza.